Sono un avvocato di Bologna e il 12 maggio mi sono recato in auto con una collega al Tribunale del Lavoro di Ferrara per una prima udienza relativa all’impugnazione di un licenziamento. Tre mesi fa, non sarebbe stata una notizia, ma lo diventa dopo che con decreto legge n. 18 del 17 marzo 2020 erano state rinviate d’ufficio tutte le udienze – a parte casi eccezionali – fissate fino al 15 aprile poi fino all’ 11 maggio – dei procedimenti civili e penali pendenti presso gli uffici giudiziari.

Il 12 maggio quindi è stato il primo giorno della “Fase 2 della giustizia”, che per qualche imperscrutabile motivo non è regolamentata in modo uniforme sul territorio nazionale: fino al 31 luglio ogni Tribunale ha fissato criteri suoi propri, privilegiando, ove possibile, modalità alternative a quelle tradizionali.

Esse sono, in sostanza, due: una che prevede lo scambio di atti scritti con udienze “virtuali”; l’altra che regolamenta il processo “da remoto”, con avvocati, parti e magistrato collegati telematicamente. La prima soluzione è privilegiata, e più fattibile, nei procedimenti civili ordinari, che normalmente prevedono la celebrazione di udienze presenziate dai soli avvocati. La seconda la si era immaginata per le cause caratterizzate da oralità, come ad esempio i processi penali, ma ha trovato una forte opposizione tra gli avvocati penalisti, che non ravvisano sufficienti garanzie per i loro clienti imputati. E analoghe preoccupazioni sono state sollevate per i procedimenti in materia di immigrazione.

Mi risulta che, tra mille difficoltà, siano riprese nelle principali città le attività dei tribunali penali. Per la materia del lavoro, pur rientrando nel diritto civile, da quasi cinquant’anni c’è uno speciale processo contraddistinto da oralità e immediatezza, dato che sono in campo diritti primari della persona.

Le cause di impugnazione di licenziamento rientrano a pieno titolo in questa definizione, ma non tutti i tribunali le considerano come “urgenti”, per cui andiamo da realtà che preferiscono rinviare le cause o trattarle esclusivamente con le modalità sopra descritte ad altri (come, ad esempio Ferrara, ma anche Bologna) che invece prevedono, per la prima udienza destinata all’interrogatorio delle parti e al tentativo di conciliazione, in mancanza di richiesta congiunta delle parti di trattazione da remoto, la “normale” celebrazione del processo, ovviamente con tutte le precauzioni del caso.

Nel nostro caso la cliente aveva espressamente chiesto di “vedere in faccia” la giudice per rendere l’interrogatorio libero, e ci eravamo quindi opposti alla richiesta avversaria di tenere un’udienza telematica. E così ho preso l’autovettura, fatto salire (nel sedile posteriore) la collega e, muniti di guanti e mascherine, siamo arrivati al Tribunale di Ferrara ove ci attendeva un’ampia aula attrezzata. La giudice verbalizzava che “tutti i partecipanti all’udienza sono distanziate tra loro di almeno un metro e mezzo in tutte le direzioni e almeno tre metri dal giudice e dall’ausiliario tecnico.

I partecipanti usano la mascherina di protezione….”. L’udienza si è quindi svolta regolarmente per oltre tre ore.

Superato il comprensibile smarrimento nei primi due mesi di isolamento, ho toccato con mano che il processo del lavoro, volendo e potendo, può essere ancora celebrato quasi come all’epoca pre-covid e i palazzi di giustizia, al pari di altri luoghi in questi giorni aperti al pubblico, non possono essere considerati fortezze inespugnabili.

Se lo sono stati mentre erano aperti (solo) supermercati e banche, ora che tutte le attività torneranno a produrre a pieno regime, la chiusura dei tribunali non può essere compresa dai cittadini. Perché dare una risposta alla domanda di giustizia, e in particolare della giustizia del lavoro, non è meno importante dell’esigenza di bere un caffè al bar.

Avv. Alberto Piccinini

Articolo pubblicato su Il Manifesto del 16.05.20

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