Man mano che, con l’avvio della c.d. “Fase 2”,  verrà allargandosi l’elenco delle attività per le quali sarà consentita la riapertura, i lavoratori che, in numero sempre maggiore, saranno riammessi al lavoro dovranno confrontarsi con il rispetto, da parte del proprio datore di lavoro, dei criteri fissati dalla legge e dalle Parti Sociali per la salvaguardia della loro salute,  segnalando eventualmente ai soggetti deputati le relative violazioni, ai fini di un’effettiva tutela.

L’art.1, n. 9, del DPCM 11 marzo 2020, contiene le raccomandazioni generali per il contenimento del contagio e per la protezione della salute dei lavoratori – successivamente integrate e specificate dalle parti sociali con il Protocollo 14.3.2020 – in base alle quali le imprese sono chiamate a:

  • adottare, laddove possibile, modalità di lavoro agile (c.d. smart working);
  • incentivare la fruizione di ferie e congedi retribuiti nonché il ricorso agli altri strumenti previsti dalla contrattazione collettiva prima dell’accesso a una delle misure di sostegno al reddito (Cassa, FIS e Cassa in deroga), o al fine di prolungare l’allontanamento dei lavoratori dal posto di lavoro, ove sia necessario effettuare preventivi interventi di sanificazione degli ambienti e/o nel tempo ancora necessario a dotarsi dei Dispositivi di Protezione Individuale (DPI);
  • sospendere le attività̀ dei reparti aziendali non indispensabili alla produzione;
  • adottare protocolli di sicurezza anti-contagio e, in particolare, laddove l’attività non consenta il rispetto della distanza interpersonale di un metro, identificata come principale misura di contenimento, dotare i dipendenti dei DPI, e dunque, ai sensi del Protocollo 14.3.20, di “mascherine e altri dispositivi quali guanti, occhiali, tute, cuffie, camici, ecc.” – ;
  • effettuare pulizia (giornaliera) e sanificazione (periodica) degli ambienti di lavoro, quest’ultima anche con riferimento a tastiere, schermi, touch e mouse con adeguati detergenti;
  • garantire il rispetto delle precauzioni igieniche personali, mettendo a disposizione idonei mezzi detergenti per le mani;
  • limitare al massimo gli spostamenti all’interno dei siti produttivi e contingentare l’accesso ai luoghi comuni oltre che l’ingresso in azienda, con previsione di orari scaglionati e percorsi distinti che consentano di evitare il più possibile i contatti nelle aree comuni;
  • regolare le modalità per le riunioni – che dovranno per lo più tenersi da remoto, salvo assoluta necessità e comunque nel rispetto degli obblighi di distanziamento interpersonale e adeguata pulizia e areazione dei locali – ed escludere eventi interni e di formazione – da svolgersi a distanza o in alternativa da rinviare, senza che ciò comporti l’impossibilità di continuare a svolgere lo specifico ruolo e/o funzione – ;
  • sospendere e annullare trasferte e viaggi di lavoro;
  • costituire in azienda un “comitato per l’applicazione e la verifica delle regole del protocollo di regolamentazione”, al quale devono partecipare le rappresentanze sindacali aziendali e il RLS.

A ciò si aggiungono le precauzioni e le azioni da adottare per evitare e/o contenere il contagio, in caso di presenza di infezioni nell’ambiente di lavoro – compresa la possibilità di sottoporre i lavoratori, al momento dell’ingresso in azienda al controllo della temperatura corporea, sia pure nel rispetto dei principi generali in materia di tutela della privacy – il che va a comporre una sorta di codice di autoregolamentazione, la cui adozione è diventata obbligatoria con il DPCM del 22 marzo,  che contiene le disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6.

Ciò significa pertanto che i lavoratori, riscontrata la mancata attuazione nell’impresa presso cui lavorano di una o più delle misure indicate, previo esercizio del diritto-dovere di segnalare le mancanze al RLS e/o ai componenti del Comitato di controllo, possano rifiutarsi di rendere la prestazione, in quanto inesigibile nelle condizioni date.

Da segnalare altresì che l’eventuale inadempienza datoriale alle prescrizioni sopra riportate può favorire – anche nelle imprese in cui il rischio biologico dell’esposizione al virus non sia “specifico” (cioè connaturato al tipo di attività, quale quella del personale sanitario e para-sanitario) – il riconoscimento di infortunio da contrazione del Coronavirus, nonché il riscontro di eventuale responsabilità dell’impresa nella causazione dell’infortunio stesso, con conseguente obbligo, a carico del datore di lavoro, di risarcire il danno all’integrità psico-fisica che ne sia eventualmente conseguito.

Francesca Ferretti

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