Tutti i DPCM ed i decreti governativi che si sono succeduti in questi mesi raccomandavano, ai fini del contenimento della pandemia, l’adozione di misure di “organizzazione del lavoro” quali la chiusura di reparti non essenziali, il ricorso al lavoro agile, l’attuazione di turnazioni tra i lavoratori,  la limitazione delle trasferte dei lavoratori etc.

Come nella prima fase emergenziale, anche nella “c.d. fase 2”  viene raccomandato, ove possibile, il ricorso al lavoro agile o smart working, ovvero l’adozione di una misura organizzativa ritenuta particolarmente efficace per prevenire la diffusione del contagio e tutelare la salute dei lavoratori.

La disciplina in materia di lavoro agile contenuta nella legge 81/2017 si interseca nell’attuale quadro emergenziale con le disposizioni contenute nel Protocollo sottoscritto dal Governo e Parti sociali il 24 aprile 2020,  con la contrattazione collettiva (cui lo stesso Protocollo rinvia) e con  il DPCM del 26 aprile 2020.

Nel   Protocollo del 24 aprile 2020, all’art. 8 dal titolo “Organizzazione aziendale (turnazioni, trasferte e smart working, rimodulazione dei livelli produttivi”, si raccomanda il ricorso al lavoro agile   “avendo a riferimento quanto previsto dai CCNL e favorendo così le intese con le  rappresentanze sindacali aziendali”.

Il DPCM del 26 aprile 2020 esclude, come le disposizioni regolamentari che lo hanno preceduto,  l’acquisizione del consenso del lavoratore per l’attivazione del lavoro agile,  disponendo  all’art. 1, comma 1, lettera gg) che : “fermo restando quanto previsto dall’art. 87 del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, per i datori di lavoro pubblici, la modalità di lavoro agile disciplinata dagli articoli da 18 a 23 della legge 22 maggio 2017, n. 81, può essere applicata dai datori di lavoro privati a ogni rapporto di lavoro subordinato, nel rispetto dei principi dettati dalle menzionate disposizioni, anche in assenza degli accordi individuali ivi previsti” .

Anche nella c.d. “fase 2”,  dunque,  evidentemente allo scopo di incentivare la rapida adozione di tale modalità di svolgimento dell’attività lavorativa, ritenuta strumento privilegiato per  contenere e prevenire la diffusione del contagio,  vi è la dirompente deroga al principio dell’accordo individuale che, nel lavoro agile “ordinario”,  regola  aspetti rilevantissimi dello svolgimento del  rapporto di lavoro quali : gli strumenti utilizzati dal lavoratore, le misure tecniche ed organizzative necessarie per la disconnessione, le forme del potere direttivo del datore di lavoro.

La disposizione si inserisce ancora una volta nel quadro delle misure che limitano gli spostamenti (incluso il commuting casa-lavoro) e che impongono il distanziamento fisico nei luoghi di lavoro.

 

In tale contesto, deve evidenziarsi che la portata dell’art. 39 del DL 18/2020,  che già prevedeva il diritto allo svolgimento della prestazione lavorativa con modalità agile “fino alla data del 30 aprile 2020” in capo ai lavoratori disabili nelle condizioni di cui all’art. 3 comma 3 della legge 104/90 oltre che in favore di coloro che abbiano nel proprio nucleo familiare una persona con disabilità  in condizioni di gravità ai sensi della legge 104/90 ( se tale modalità risulti  compatibile con le caratteristiche della prestazione),  è stata “estesa” dalla  legge di conversione  n. 27 del 24.4.2020, pubblicata in Gazzetta  Ufficiale il 29 aprile 2020 fino alla  cessazione dello stato di emergenza epidemiologica da COVlD-19ed in favore non solo dei  “lavoratori dipendenti disabili nelle condizioni di cui all’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104 o che abbiano nel proprio nucleo familiare una persona con disabilità nelle condizioni di cui all’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104” (sempre  “a condizione che tale modalità sia compatibile con le caratteristiche della prestazione”), ma anche  dei lavoratori immunodepressi e ai familiari conviventi di persone immunodepresse”.

Sebbene la formulazione della disposizione non sia chiarissima, è positivo che il diritto allo “smart working” sia stato riconosciuto ad una più ampia platea di soggetti.

Deve peraltro evidenziarsi che anche al termine della fase emergenziale tale  diritto potrebbe  essere riconosciuto  in favore dei lavoratori “disabili”  –  nel senso ampio e di derivazione europea ormai consolidato, che individua nell’ handicap “ una menomazione personale che, in interazione con barriere di diversa natura, sia suscettibile di ostacolare la piena ed effettiva partecipazione della persona alla vita professionale su base di uguaglianza con altri lavoratori”-  quale “accomodamento ragionevole”  ai sensi dell’art. 3 c. 3 bis dlgs 216/2003.

Il Protocollo sottoscritto dalle Parti Sociali il 24.4.2020 e richiamato nel DPCM del 26 aprile 2020  interviene anche sul delicatissimo tema della sorveglianza sanitaria,  prevedendo   che “Il medico competente, in considerazione del suo ruolo nella valutazione dei rischi e nella sorveglia sanitaria, potrà suggerire l’adozione di eventuali mezzi diagnostici qualora ritenuti utili al fine del contenimento della diffusione del virus e della salute dei lavoratori”.

Deve segnalarsi che la   Circolare del Ministero della Salute del 29 aprile 2020 chiarisce che “I test sierologici, secondo le indicazioni dell’OMS, non possono sostituire il test diagnostico molecolare su tampone, tuttavia possono fornire dati epidemiologici riguardo la circolazione virale nella popolazione anche lavorativa. Circa l’utilizzo dei test sierologici nell’ambito della sorveglianza sanitaria per l’espressione del giudizio di idoneità, allo stato attuale, quelli disponibili non sono caratterizzati da una sufficiente validità per tale finalità. In ragione di ciò, allo stato, non emergono indicazioni al loro utilizzo per finalità sia diagnostiche che prognostiche nei contesti occupazionali, né tantomeno per determinare l’idoneità del singolo lavoratore”.

*

Il tema delicatissimo dei “test sierologici” merita una separato momento di riflessione.

Il Protocollo sottoscritto dalle Parti Sociali il 24.4.2020 prevede, ancora, che alla ripresa delle attività sia opportuno coinvolgere  il medico competenteper le identificazioni dei soggetti con particolari situazioni di fragilità” e sia raccomandabile”  che la sorveglianza sanitaria  “ponga particolare attenzione ai soggetti fragili anche in relazione all’età.

La Circolare del Ministero della Salute del 29.4.2020 chiarisce che “in merito a tali situazioni di fragilità, i dati epidemiologici rilevano una maggiore fragilità nelle fasce di età più elevate della popolazione (>55 anni di età), come riportato nel menzionato Documento Tecnico, nonché in presenza di co-morbilità che possono caratterizzare una maggiore rischiosità.

La situazione “maggiore fragilità” viene individuata dunque sia nella età che nella  sussistenza di  eventuali patologie del lavoratore.

Il Ministero della Salute chiarisce, con la citata circolare, che  i lavoratori  andranno informati e sensibilizzati  “a rappresentare al medico competente l’eventuale sussistenza di patologie (a solo titolo esemplificativo, malattie cardiovascolari, respiratorie, metaboliche)  attraverso la richiesta di visita medica di cui all’art. 41 c. 1 lett. c. (c.d. visita a richiesta del lavoratore), corredata da documentazione medica relativa alla patologia diagnosticata”.

Alcune riflessioni si impongono, a questo punto,  alla  luce del quadro normativo vigente.

L’art. 26 del DL 18/2020   prevedeva, al primo comma, che il periodo  trascorso in quarantena con sorveglianza attiva o in permanenza domiciliare fiduciaria con sorveglianza attiva fosse “equiparato a malattia ai fini del trattamento economico previsto dalla normativa di riferimento e non è computabile ai fini del periodo di comporto”.

Il secondo comma della disposizione stabiliva   che  “fino al 30 aprile ai lavoratori dipendenti pubblici e privati in possesso del  riconoscimento di disabilità con connotazione di gravità ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della  legge 5 febbraio 1992, n.104, nonché ai lavoratori in possesso di certificazione rilasciata dai  competenti organi medico legali, attestante una condizione di rischio derivante da immunodepressione o da esiti da patologie oncologiche o dallo svolgimento di relative terapie  salvavita, ai sensi dell’articolo 3, comma 1, della medesima legge n. 104 del 1992, il periodo di  assenza dal servizio prescritto dalle competenti autorità sanitarie, è equiparato al ricovero  ospedaliero di cui all’articolo 19, comma 1, del decreto legge 2 marzo 2020, n.9”.  La medesima misura riguardava anche i lavoratori in possesso di certificazione rilasciata dai competenti organi medico legali, attestante una condizione di rischio derivante da immunodepressione o da esiti da patologie oncologiche o dallo svolgimento di relative terapie  salvavita, ai sensi dell’articolo 3, comma 1, della medesima legge n. 104 del 1992”,  per i quali  il periodo di  assenza dal servizio prescritto dalle autorità sanitarie era ugualmente equiparato al ricovero ospedaliero.

La legge di conversione del decreto Cura Italia n. 27 del 24.4.2020 non ha previsto l’estensione del diritto di assentarsi dal lavoro con equiparazione dell’assenza al ricovero ospedaliero per i cosiddetti lavoratori fragili oltre la data del 30 aprile 2020.[1]

 

L’art. 26 dal titolo “Misure urgenti per la tutela del periodo di sorveglianza attiva dei lavoratori del settore privato”  prevede al primo comma cheIl periodo trascorso in quarantena con sorveglianza attiva o in permanenza domiciliare fiduciaria con sorveglianza attiva di cui all’articolo 1, comma 2, lettere h) e i) del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, convertito, con modificazioni, dalla legge 5 marzo 2020, n. 13, e di cui all’articolo 1, comma 2, lettere d) ed e), del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19, dai lavoratori dipendenti del settore privato, è equiparato a malattia ai fini del trattamento economico previsto dalla normativa di riferimento e non è computabile ai fini del periodo di comporto”,  senza modificare la precedente disposizione.    Al secondo comma  si prevede cheFino al 30 aprile 2020”  (e non dunque sino al termine del periodo emergenziale) “per i lavoratori dipendenti pubblici e privati in possesso del riconoscimento di disabilità con connotazione di gravità  ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, nonché per i lavoratori in possesso di certificazione rilasciata dai competenti organi medico-legali, attestante una condizione di rischio derivante da immunodepressione o da esiti da patologie oncologiche o dallo svolgimento di relative terapie salvavita, ai sensi dell’articolo 3, comma 1, della medesima legge n. 104 del 1992, il periodo di assenza dal servizio è  equiparato al ricovero ospedaliero di cui all’articolo 87, comma 1, primo periodo, del presente decreto ed è prescritto dalle competenti autorità  sanitarie, nonché  dal medico di assistenza primaria che ha in carico il paziente, sulla base documentata del riconoscimento di disabilità o delle certificazioni dei competenti organi medico-legali di cui sopra, i cui riferimenti sono riportati, per le verifiche di competenza, nel medesimo certificato. Nessuna responsabilità, neppure contabile, è imputabile al medico di assistenza primaria nell’ipotesi in cui il riconoscimento dello stato invalidante dipenda da fatto illecito di terzi”.

Come si è già avuto modo di evidenziare, l’art. 26 del DL 18/2020  prevedeva solo per le ipotesi di cui al primo comma la non computabilità del periodo di assenza ai fini del periodo di  comporto.  Si ritiene, tuttavia, che la medesima garanzia non poteva che essere riservata, se non altro alla luce delle disposizioni antidiscriminatorie (Direttiva 2000/78 e dlgs 216/2003), anche    ai lavoratori “disabili” di cui al comma 2 del medesimo art. 26.

La questione si è posta poiché, come noto, diverse sono le previsioni contrattuali relative al “periodo di comporto” nel settore pubblico e nel settore privato.  Molti contratti collettivi del settore “privato”, infatti, non escludono espressamente dal computo del periodo di comporto le assenze  dal servizio  per malattia o ricovero “dovute” alla disabilità del lavoratore.

In sede di conversione l’art. 26 comma secondo prevede   che “il periodo di assenza dal servizio è equiparato al ricovero ospedaliero di cui all’articolo 87, comma 1, primo periodo, del presente decreto.   Tale disposizione stabilisce che “Il periodo  trascorso  in  malattia  o  in  quarantena   con sorveglianza attiva,  o  in  permanenza  domiciliare  fiduciaria  con sorveglianza attiva, dai  dipendenti  delle  amministrazioni  di  cui  all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30  marzo  2001,  n.165, dovuta  al  COVID-19, è equiparato  al  periodo  di  ricovero ospedaliero”.   Vi è dunque l’aggancio normativo ad una disposizione che espressamente esclude dal “comporto” il periodo di ricovero ospedaliero.

Sembrano risolte, in sede di conversione,  le criticità derivate  dal riferimento, contenuto nell’art. 26 comma 2 del decreto  n.18/2020,  alla “certificazione rilasciata dai competenti organi medico legali, attestante una condizione di rischio derivante da immunodepressione o da esiti da patologie oncologiche o dallo svolgimento di relative terapie salvavita ai sensi dell’articolo 3, comma 1, della medesima legge n. 104 del 1992”, per le quali  era intervenuta una  nota della Presidenza del Consiglio dei Ministri  ove si precisava che  “sono organi abilitati a certificare la condizione di cui all’art. 26, comma 2, sia i medici preposti ai servizi di medicina generale (c.d. medici di base), che i medici convenzionati con il S.S.N. (….).    Le certificazioni di questi medici sono a tutti gli effetti da considerarsi il prodotto dell’esercizio di funzioni pubbliche, dunque proveniente da “organismi pubblici”.

Resta tuttavia aperta la questione di individuare ed offrire  tutele effettive (sia dal punto di vista della salute che dal punto di vista “economico” e “lavorativo”)  ai lavoratori fragili  non  in possesso dei requisiti previsti dalla “legge 104” e della certificazione dello stato di Handicap grave o lieve ( ad esempio soggetti affetti da patologie compensate con trattamento farmacologico come diabetici, cardiopatici, portatori di malattie renali, reumatiche,  etc)

I lavoratori in condizioni di “fragilità” avranno anzitutto diritto a svolgere la prestazione lavorativa in modalità agile,  ove tale modalità risulti  compatibile con le caratteristiche della prestazione,  in ossequio alla  disposizione generale di cui all’art. 2087 c.c, dell’art. 32 della Costituzione,  delle disposizioni antidiscriminatorie (in particolare della Direttiva 2000/78  con riferimento ai fattori “handicap” ed “età”), dell’art. 39 della legge n.27 del  24.4.2020.

Si sottolinea che l’assunzione nell’ordinamento europeo di una nozione di “handicap” di stampo “sociale” e non esclusivamente “medico” implica che  il datore di lavoro debba applicare, anche  ai sensi dell’art. 3 comma 3 bis del dlgs 216/2003, ogni necessario e ragionevole accomodamento nella propria organizzazione al fine di garantire il diritto al lavoro e alla salute dei soggetti fragili.

Poiché il Protocollo siglato dalle parti sociali il 24.4.2020 stabilisce che il datore di lavoro “provvede alla tutela dei lavoratori” che versino in situazioni di particolare  fragilità”, si ritiene che in tali casi   il datore di lavoro  dovrà   attuare ogni possibile “adattamento” ed “accomodamento” all’interno della propria organizzazione  al fine di tutelare il lavoratore “fragile”.

Dovrà ad esempio individuare una postazione lavorativa adeguata (isolata, con adozione di adeguate barriere di protezione, giusto distanziamento, individuazione di percorsi di ingresso ed uscita dai locali aziendali diversificate), o eventualmente assegnare il lavoratore ad altre mansioni che presentino minore rischio, sia equivalenti che inferiori, in tal caso con diritto al mantenimento del  medesimo trattamento economico, ai sensi art. 42, D. Lgs n. 81 del 2008.

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Altra riflessione si compie con riferimento alla sorveglianza sanitaria (“insieme di atti medici, finalizzati alla tutela dello stato di salute e sicurezza dei lavoratori, in relazione all’ambiente di lavoro, ai fattori di rischio professionali e alle modalità di svolgimento dell’attività lavorativa”,  ex art art. 2 lett. m) del d.lgs. n.81/2008)  che il nostro ordinamento, ai sensi delll’art. 41, comma 1, lett.a) del d.lgs. n.81/2008 prevede non per tutte le attività, ma  solo per quelle  previste da specifiche  disposizioni di legge o per quelle  indicate dalla Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza su lavoro istituita presso il Ministero del lavoro.

La sorveglianza sanitaria può essere inoltre attivata, ai sensi dell’art. 41 comma 1 lettera  b),  su richiesta del  lavoratore, sempre che la visita sia  ritenuta dal medico competente correlata ai rischi lavorativi.

Con specifico riferimento ai casi di esposizione ad agenti biologici, l’art. 279 del dlgs 81/2008 prevede che “qualora l’esito della valutazione del rischio ne rilevi la necessità, i lavoratori esposti ad agenti biologici sono sottoposti alla sorveglianza sanitaria di cui all’art.41”.

Se il lavoratore “fragile” richiede la  visita medica di cui all’art. 41 c. 1 lett. C) un eventuale provvedimento di inidoneità temporanea  alla mansione  potrebbe essere oggetto di impugnativa nei termini di legge (30 gg), fermo restando l’obbligo, in capo al datore di lavoro, di individuare mansioni e postazioni di lavoro  adeguate.

Quanto ai soggetti con disabilità “da lavoro”, si rileva che l’INAIL contribuisce alla spesa sostenuta dai datori di lavoro per interventi relativi all’adattamento delle postazioni di lavoro. Tale contributo potrebbe in questa fase essere utilizzato anche tenendo in considerazione le necessità di sicurezza connesse al rischio di contagio Covid-19.  Il contributo potrebbe essere utilizzato ad esempio per assegnare il lavoratore con disabilità da lavoro a diverse mansioni, previo finanziamento da parte di Inail di interventi formativi o di riqualificazione professionale.

Bologna, 2 maggio 2020

Avv. Sara Passante e Avv. Alberto Piccinini

 

[1] Tuttavia, la  bozza del decreto in corso di approvazione (annunciato dalla Ministra  Del Lavoro e delle Politiche Sociali Nunzia Catalfo  in occasione della festività del Primo Maggio), dal titolo  “nuove misure di sostegno economico per famiglie, lavoratori, e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da Codid 19”  prevede, all’art. 9 la  proroga dei termini della misura di cui all’art. 26 comma 2°  sino al termine del periodo emergenziale, e quindi sino al 31.7.2020.

 

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