Nel corso del 2004 il patrocinio del nostro studio ha portato a due importanti pronunce in materia di indennizzabilità da parte del Fondo di Garanzia costituito presso l’INPS dei crediti dovuti ai lavoratori ex dipendenti da aziende fallite o per le quali sia stata dichiarata insolvenza. Un poco di storia: il decreto legislativo 80\92 imponeva all’INPS il pagamento delle ultime tre mensilità di retribuzione non corrisposte da datore di lavoro del quale era stata dichiarata l’insolvenza (fallimento, o altra procedura concorsuale). Il problema, come è ovvio, riguardava come riguarda migliaia di lavoratori italiani.
Si sono posti, tra gli altri, due problemi interpretativi molto rilevanti: il primo relativo al metodo di calcolo dell’indennizzo, e il secondo, proprio solamente dei casi di fallimenti antecedenti alla norma, e dunque al febbraio del 1992, relativo alla prescrizione.
Quanto al primo, INPS sosteneva che, siccome dalla norma italiana veniva definito un massimale di pagamento, tutti gli acconti eventualmente ricevuti dal datore di lavoro o dal fallimento e relativi agli ultimi tre mesi del rapporto dovevano essere detratti dal massimale. Con la conseguenza che, ad esempio, chi era rimasto creditore di una sola mensilità non riceveva nulla dall’INPS (in quanto l’importo delle due mensilità pagate era o poteva essere superiore al massimale).
Tale interpretazione aveva avuto un certo successo anche nelle Alte Corti Italiane, e in particolare era stata accolta dalla Corte di Cassazione in tre successive sentenze.
In una causa da noi patrocinata abbiamo sollevato una questione di interpretazione delle norme comunitarie, e così provocato l’intervento decisivo della Corte di Giustizia della Comunità Europea, che nel marzo del 2004 (sentenza 4 marzo 2004 nelle cause C-19/01, C-50/01 e C-84/01) ha accolto la diversa tesi, secondo la quale il Fondo di Garanzia è tenuto a indennizzare i crediti del lavoratore relativi alle retribuzioni non corrisposte negli ultimi tre mesi, con il solo limite quantitativo del massimale fissato dalla norma italiana.
Il secondo problema è invece relativo alle sole posizioni di quei lavoratori dipendenti da aziende fallite prima del febbraio del 1987, e cioè in un tempo precedente al limite di cinque anni dall’entrata in vigore della norma italiana.
INPS ha sostenuto e sostiene che i crediti relativi sono irrimediabilmente prescritti, in quanto i lavoratori avrebbero potuto agire nei confronti dello Stato indipendentemente dall’esistenza di una specifica norma nazionale che lo prevedesse, e solamente sulla base della direttiva comunitaria (numero 80\987) che imponeva allo Stato di adeguare la propria legislazione ai precetti internazionali sin dal 1980.
La Suprema Corte di Cassazione, con sentenza numero 16965\04 depositata il 26 agosto 2004, ribaltando un proprio precedente orientamento, ha invece accolto la tesi in quella casa sostenuta dal nostro studio, secondo la quale la prescrizione inizia ad operare solamente dall’entrata in vigore della norma nazionale, e dunque dal febbraio del 1992. Ancor prima, nella sentenza con sentenza numero 3785\01 depositata il 21 marzo 2001, la Suprema Corte aveva accolto l a tesi di questo studio secondo cui fosse fatto divieto al datore di lavoro di esercitare unilateralmente il potere di “comandata” nel caso di sciopero nei servizi pubblici essenziali. Riportiamo di seguito il testo integrale di queste tre pronunce.