Mentre assistiamo finalmente ad una progressiva diminuzione dei contagi e dei decessi per coronavirus, a 3 mesi dall’inizio delle prime avvisaglie di lockdown ci troviamo tra le macerie sociali ed economiche che la pandemia ha lasciato dietro di sé. Come prevedibile il conto lo stanno pagando soprattutto i lavoratori ed in particolare quelle categorie che possono sembrare avanguardistiche, tra piattaforme digitali e flessibilità, ma che invece puzzano di ottocento e ritorno al cottimo.

Dal canto suo il governo ha operato su tre fronti: garanzie al reddito con l’estensione degli ammortizzatori sociali, garanzie al lavoro con il blocco dei licenziamenti e un importante supporto economico alle imprese.

Ma in un mondo del lavoro fortemente frammentato e precarizzato, gli ammortizzatori sociali e gli strumenti di sostegno al reddito non coprono che una parte della platea e sono spesso inadeguati per i lavoratori precari. Allo stesso modo, i contratti a tempo indeterminato sono drammaticamente solo una parte, neanche troppo consistente, del panorama occupazionale italiano, nonché un miraggio per le giovani generazioni, e allora il blocco dei licenziamenti così come pensato è anch’esso per forza di cose un’arma spuntata (per una più approfondita interpretazione del divieto vedi qui).

Ad oggi è fatto divieto di procedere a licenziamenti per ragioni economiche e riduzione del personale sino al 18 agosto 2020. Il termine, inizialmente previsto fino al 15 maggio è stato esteso dal recente Decreto Rilancio. E non è neppure necessario allarmarsi per gli eventuali licenziamenti che dovessero essere stati intimati nei due giorni lavorativi di presunto “vuoto normativo” che hanno preceduto la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del Decreto Rilancio, avvenuta la notte di martedì 19 maggio 2020: il nuovo Decreto, infatti, lascia inalterato il giorno iniziale (17 marzo 2020) di decorrenza del divieto, prolungando il periodo senza soluzione di continuità.

Nel predisporre un vincolo del genere il Legislatore non tiene conto, indubbiamente anche per l’urgenza con cui si è reso necessario adottare tali disposizioni, del concreto rischio che questo divieto sia troppo facilmente eluso. Il modello infatti si basa su due assunti, entrambi solo astrattamente veri: che a tutti i contratti di lavoro si applichino le stesse regole e che la riduzione del personale occupato nelle imprese non possa essere effettuata in altre forme che non siano i licenziamenti economici.

Si prendano ad esempio i lavoratori in prova: il licenziamento durante il periodo di prova può essere disposto in ogni momento senza che il datore di lavoro debba formalmente dar conto delle ragioni che lo hanno originato. Tuttavia, al pari degli altri licenziamenti, non può essere frutto di mero arbitrio e dunque, in coerenza con la funzione propria del patto di prova, anche il licenziamento del lavoratore in prova si giustifica solo con una valutazione negativa dell’operato professionale del dipendente.

Formalmente non si tratta dunque di un licenziamento di natura economica e quindi sembra scappare dalle maglie del divieto: è però evidente che diventa molto semplice per il datore di lavoro mascherare un licenziamento per riduzione del personale sotto forma di mancato superamento della prova e d’altro canto molto difficile per il lavoratore provare che la perdita del posto di lavoro non è dovuta a un giudizio negativo sulle sue capacità. Con l’inevitabile conseguenza che chi si trova in questa situazione potrebbe essere tra i primi a perdere il posto di lavoro.

In conclusione, sarà necessaria una lettura estensiva delle norme introdotte con il decreto, per garantire che questa nuova crisi non crei inutili e ingiustificate disparità di trattamento. Gli ammortizzatori sociali potranno tamponare il qui ed ora, ma non saranno nemmeno minimamente sufficienti se non si interverrà con forza nella tutela dell’occupazione, rimettendo al centro la dignità del lavoro.

Avv. Giulia Gallizioli e Dott.ssa Eugenia Tarini

….

Articolo pubblicato su Il Manifesto del 30.05.20

Share This