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Tribunale di Bologna > C.I.G.
Data: 07/04/2009
Giudice: Pugliese
Tipo Provvedimento: Sentenza
Numero Provvedimento: 127/09
Parti: Gian Carlo A. + altri / Arquati SpA in Liquidazione in Amministrazione Straordinaria
SOSPENSIONE DAL LAVORO CON RICORSO ALLA CIG IN COSTANZA DI PREAVVISO DI DIMISSIONI – ASSEGNAZIONE DELLE ATTIVITA’ DEL LAVORATORE SOSPESO A PERSONALE CON RAPPORTO DI LAVORO AUTONOMO – ILLEGITTIMITA’ – INADEMPIMENTO CONTRATTUALE PER VIOLAZIONE DEI CRITERI D


art.1218 c.c.

art. 1175 c.c.

art. 1375 c.c.

legge n.164/1975 

legge n.223/1991

 

Un ingegnere progettista che aveva preavvisato alla società datrice di lavoro le sue dimissioni, era assegnato con altra collega alla progettazione di alcuni particolari tecnici che avrebbero richiesto un ulteriore mese di lavoro e che avrebbe potuto portare a compimento durante il periodo di preavviso; gli veniva altresì prospettato che sarebbe stato necessario, nelle giornate successive, realizzare particolari tecnici ulteriori per un diverso prodotto aziendale. 

Egli veniva invece invitato a passare le consegne della progettazione che stava svolgendo  ad un collaboratore autonomo che prestava la sua attività presso gli uffici della azienda  e sospeso dal lavoro con ricorso alla CIG ordinaria, richiesta per "un contingente calo di ordinativi". Nonostante che l’accordo prevedesse la rotazione della sospensione tra i dipendenti, presso l’ufficio tecnico solo il lavoratore e un collega, analogamente dimissionario, venivano sospesi per più settimane. Il lavoratore impugnava tempestivamente il provvedimento di sospensione e chiedeva di essere immediatamente riammesso al lavoro sino allo spirare del periodo di preavviso contrattuale chiedendo altresì di essere tenuto indenne da ogni danno derivante, sotto il profilo patrimoniale, dalla sospensione. La società non riscontrava la sua richiesta. Svolto inutilmente il tentativo di conciliazione egli impugnava la sospensione avanti al Tribunale chiedendo, essendo ormai cessato il rapporto, la declaratoria di illegittimità della sua sospensione ed il pagamento delle retribuzioni contrattuali.

Secondo il Tribunale incombe sul datore di lavoro l'onere di provare il nesso di causalità tra la sospensione del singolo lavoratore e le ragioni per le quali la legge gli riconosce il potere di sospensione, atteso che il potere di scelta dei lavoratori da porre in cassa integrazione guadagni, al primo riservato, non è incondizionato, ma sottoposto al limite di carattere interno derivante dalla necessaria sussistenza del rapporto di coerenza fra le scelte effettuate e le finalità specifiche cui è preordinata la cassa integrazione guadagni e dall'obbligo di osservare i doveri di correttezza e buona fede imposti dall'art.1175 e 1375 c.c., nonché dall'ulteriore limite di carattere esterno derivante dal divieto di discriminazione tra lavoratori. (Cass n. 8998/2003; Cass. n. 18296/2002).

L'istruttoria testimoniale confermava che non sussisteva alcun nesso causale tra la finalità indicata dalla società nel verbale di accordo sindacale che precedeva la sospensione e la scelta del lavoratore da sospendere, ed anzi confermava che il suo apporto lavorativo sarebbe stato necessario e che l’ufficio al quale egli era addetto non era affatto interessato dalla crisi derivante dal calo degli ordinativi che determinava la richiesta di CIG, tanto che il lavoratore era stato sostituito da un collaboratore autonomo nelle sue mansioni. Rilevava il Giudice che neppure nelle comunicazioni di sospensione dell'attività lavorativa indirizzate al lavoratore dalla società convenuta erano indicati i criteri specifici idonei a giustificare la scelta del ricorrente quale lavoratore da collocare in CIG.

Per il Giudice la domanda con cui il lavoratore sospeso, allegando l'illegittimità della sospensione per collocamento in cassa integrazione, chiede, quale ristoro per aver subito l'illegittima sospensione del rapporto, la differenza tra la retribuzione e il trattamento di integrazione salariale, ha natura di risarcimento del danno da inadempimento contrattuale ex art. 1218 c.c., con conseguente applicazione dei criteri di riparto dell'onere della prova in materia contrattuale (Cass. civ. sez. un., 30 ottobre 2001, n. 13533; Cass. .n. 1550/2006). Come è noto l'imprenditore, con la richiesta di ammissione al trattamento, deve indicare le cause della sospensione del rapporto o della diminuzione dell’orario, la durata prevedibile, nonché il numero dei lavoratori interessati: e, come si è detto, la scelta dei singoli lavoratori da sospendere è censurabile in ragione della violazione, da parte del datore, dei parametri di buona fede, correttezza e non discriminazione, al cui rispetto il datore stesso è tenuto sia in ragione degli art. 1175-1375 c.c. che del principio di corrispondenza tra la causa che determina l'esigenza della sospensione e l'attività del lavoratore sospeso. In ipotesi di ricorso alla Cassa Integrazione ordinaria,   infatti, se la "causa integrabile" non è riferibile al posto di lavoro legittimamente occupato dal dipendente sospeso, la collocazione in Cig è illegittima e consegue il diritto del lavoratore alla riammissione nel posto di lavoro e al risarcimento del danno, nella misura della differenza tra quanto percepito a titolo di integrazione e la retribuzione piena spettante.

I criteri di scelta dei lavoratori da collocare in cassa integrazione devono essere, inoltre e comunque, specifici, trasparenti e verificabili così da rendere fattibile "ex post" il controllo della legittimità dell'operato dell'impresa da parte dei soggetti interessati. Nel caso concreto non avendo il datore di lavoro assolto all'onere della prova sullo stesso incombente - non essendosi costituito in giudizio -   ed essendo emersa dall'istruttoria l'insussistenza del nesso causale tra la scelta del ricorrente e le cause del ricorso alla cig, il giudice dichiarava che la sospensione dall'attività lavorativa con collocazione integrava un inadempimento contrattuale ex art.1218 c.c. per violazione dei criteri di buona fede, correttezza e del principio di non discriminazione nonché delle previsioni di cui alla legge n.164/1975 e L.n.223/91 e doveva pertanto essere dichiarata illegittima, con condanna al pagamento del danno derivante in misura delle differenze retributive.