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Tribunali Emilia-Romagna > Permessi
Data: 03/03/2011
Giudice: Riverso
Tipo Provvedimento: Sentenza
Numero Provvedimento: 252/2011
Parti: Antonia P. / Poste Italiane
RICHIESTA DI TRE GIORNI DI RIPOSO RETRIBUITO PER ASSISTENZA AL CONIUGE – MANCATA INDICAZIONE DELLE PAROLE “GRAVE INFERMITA’” - IRRILEVANZA


Art. 4, c. 1, Legge n. 53/2000

Art. 3 D.M. 278/2000

 

Con ricorso al Tribunale di Ravenna una dipendente di Poste italiane SpA chiedeva che venisse riconosciuto il proprio diritto di godere dei tre giorni di riposo retribuito previsti dall’art. 4, c. 1, legge n. 53/2000, allegando il certificato medico dove si dava atto che il marito avesse bisogno di assistenza personale per intervento chirurgico e copia del modulo di richiesta prestazioni per ricovero programmato; specificando che detto intervento chirurgico sarebbe stato effettuato “presso l’Ospedale Maggiore di Bologna per I.P.B.”; individuando espressamente la ricorrenza di condizioni di gravità indicate nelle disposizioni di attuazione ex art. 4 l. 02.03.2000 in materia di congedi (“tra cui “patologie acute che determinano temporanea perdita dell’autonomia personale”); producendo attestazione di degenza dal 23.4.2009 all’1.5.2009. Il permesso veniva rifiutato dalle Poste in quanto nella documentazione presentata a sostegno non compariva la dicitura “grave infermità”, ritenuta condizione sine qua non dalle Poste.

La tesi dell’Ospedale Maggiore di Bologna - espressione di una posizione assunta ufficialmente dalle Asl  - risulta giustificata per la mancanza di criteri normativi ai fini della graduazione delle infermità e per la indisponibilità delle strutture sanitarie a valutare le certificazioni rilasciate da specialisti. D’altra parte la problematica lambisce le osservazioni del Garante della Privacy, essendo evidente che esista anche un problema di trattamento di dati sensibili.

Commenta così il Giudice: “Potrebbe sembrare una storia grottesca, se la questione non fosse sostenuta con argomenti seri che si rifanno a decreti e note ministeriali, circolari di enti previdenziali, note di AA.SS.LL.; e se questa vicenda degli anni 2010 non esprimesse una visione kafkiana o da Stato borbonico, che tende a scaricare sui cittadini inefficienze, grovigli e pasticci formalistici.  La posizione rigidamente formalistica mantenuta dalle Poste nel caso in esame pare infatti degna di miglior causa. E’ emerso invero che Poste Italiane fosse perfettamente informata della situazione di infermità del marito della ricorrente, e solo richiedeva la sua attestazione in termini di grave infermità da parte dell’ospedale, il quale però si rifiutava di qualificarla, sostenendo fosse sufficiente l’attestazione della degenza per evincere la condizione della grave infermità”.

A parere del Tribunale “la formula “infermità grave” è generale ed ellittica, e va rapportata alla ratio del permesso (temporaneo e per soli tre giorni), dovendosi intendere come tale quella che richiede la necessità di assistenza del parente per seri o gravi motivi afferente lo stato di salute del congiunto. La norma prevede infatti che: “La lavoratrice e il lavoratore hanno diritto ad un permesso retribuito di tre giorni lavorativi all'anno in caso di decesso o di documentata grave infermità del coniuge od un parente entro il secondo grado o del convivente, purché la stabile convivenza con il lavoratore o la lavoratrice risulti da certificazione anagrafica”; ed il significato della norma non può essere ricavato attraverso una lettura atomistica o astraendo dalla sua finalità.

La sussistenza delle condizioni dettate dalla legge si potevano evincere nel caso in esame dal complesso documentale presentato dalla ricorrente: oltre che dalla sua richiesta (assai analitica e perciò meritevole di attenta considerazione), dalla certificazione del medico (del 01.04.2009) che evidenziava “il bisogno di assistenza per intervento chirurgico”; dall’attestazione di ricovero ospedaliero per nove giorni”.

Dunque, secondo la sentenza, tale documentazione è “qualcosa di più della stessa dichiarazione dell’esistenza di grave infermità a cui Poste annette valore dirimente. Si trattava di una documentazione più che esplicativa, più di quanto non potesse dire la dicitura grave infermità o la stessa descrizione della nuda patologia; essendo comunque evidente che la certificazione del medico sulla necessità di assistenza sottintendeva anche un giudizio sulla serietà e gravità dell’infermità (portata  ad ulteriori sviluppi ed a logiche conseguenze ai fini del diritto al permesso ); ma non valutata in astratto in relazione alla patologia di base (che allora sussisterebbe solo in pochi casi; ed in quali? forse soltanto c’è pericolo di vita?); ma infermità valutata in concreto, in relazione all’intervento chirurgico, al periodo post operatorio, alle condizioni che determina, ai postumi (anestesia, allettamento, catetere, complicanze, ecc..); alla necessità di temporanea assistenza; tutte condizioni che potrebbero prescindere dalla gravità della patologia in sé e per sé, ed in partenza” .

Non viene considerata quindi giustificata la posizione di Poste SPA ancorata al proprio documento di autoregolamentazione interno, che prescrive l’indicazione documentale della dicitura “grave infermità”, essendo, per il Giudice, “sufficiente l’indicazione della necessità di assistenza, secondo la legge, per grave infermità intesa nel senso elastico prima indicato in relazione alle peculiarità del caso concreto.”

A supporto delle proprie tesi, Poste aveva richiamato una nota del Ministero del Lavoro che riporta il concetto di grave infermità al genus dei gravi motivi di cui all’art. 2, comma 1 lett. d D.M. 278/2000 (lett. d, nn. 1 – 4); inoltre, la stessa nota ministeriale, richiama l’art. 3 del D.M. secondo cui presupposto indefettibile per comprovare il diritto alla fruizione del permesso è la presentazione della certificazione rilasciata dal medico specialista attestante la gravità della patologia dei soggetti per i quali viene prestata assistenza (come prescritto anche dall’INPS nella circolare n. 32/2006).

Ma anche questi rilievi vengono ritenuti  infondati:

“In realtà, né la legge né il D.M. specificano quali siano le gravi infermità ai fini dei tre giorni di permesso in discussione. Al contrario, la legge distingue la documentata grave infermità d