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Corte d'Appello di Bologna > Amianto
Data: 02/02/2006
Giudice: Schiavone
Tipo Provvedimento: Sentenza
Numero Provvedimento: 657/05
Parti: Mara T. / Autostrade per l’Italia s.p.a.
RIVALUTAZIONE CONTRIBUTIVA PER AMIANTO – INAPPLICABILITA’ DELLE DISPOSIZIONI CONTENUTE NEL D.L. N. 269/03 ALLE CAUSE AVVIATE PRECEDENTEMENTE - DISCIPLINA MENO RIGOROSA


La causa rientra nell’ambito di un ampio filone di controversie instaurate per l’applicazione dell’art. 13 comma 8 legge n. 257 del 1992, che prevede la maggiorazione dei periodi contributivi di esposizione all’amianto, mediante applicazione del moltiplicatore dell’1,5 per ogni anno di esposizione. Il lavoratore aveva proposto ricorso avanti al Tribunale di Ferrara nel 2001, dichiarando di essere rimasto esposto all’amianto nello svolgimento delle sue mansioni alle dipendenze della Casaralta SpA (oggi Firema Trasporti SpA: “notissima azienda – per usare le parole della Corte d’Appello di Bologna – che si occupava della fabbricazione e manutenzione di carrozzerie ferroviarie e può ritenersi ormai acquisito al notorio che, almeno fino all’entrata in vigore della normativa sull’amianto, nel nostro come in altri paesi, l’amianto era massicciamente impegnato per la coibentazione di tali carrozze”) e chiedendo che gli venissero riconosciuti i benefici previsti dalla citata legge da parte dell’INPS. Il Tribunale, affermato il difetto di legittimazione passiva dell’INAIL, aveva rigettato il ricorso, ritenendo che la legge invocata fosse diretta a vantaggio soltanto di coloro che erano stati impegnati in operazioni di dismissioni delle lavorazioni comportanti l’uso dell’amianto, nelle quali il ricorrente non risultava coinvolto. Su ricorso del lavoratore la Corte riesamina l’intera vicenda alla luce delle intervenute pronunce della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione, nonché delle modifiche legislative, dando una interessante lettura interpretativa.

Secondo il dibattito dottrinario e giurisprudenziale svoltosi in materia si è giunti, sulla scia della Corte Costituzionale che ha configurato – nella sentenza n. 5 del 2000, ribadendolo con la sentenza n. 127 del 2002 – una nozione di esposizione all’amianto qualificata, il convincimento che non può, in alcun modo, essere sufficiente il mero dato temporale dell’esposizione medesima, ma va strettamente vincolata al ricorrere della soglia limite del rischio di esposizione.

La Corte conseguentemente critica quella giurisprudenza che non ritiene necessario l’accertamento dei limiti di concentrazione previsto dal d.legs. n. 277/91 (richiamato dall’art. 3 legge n. 257/1992) al di sotto del quale le fibre di amianto devono considerarsi “respirabili” nell’ambiente di lavoro, tanto da non obbligare all’adozione di misure protettive specifiche ( n.d.r.: anche se, per la scienza medica, non esiste una soglia al di sotto della quale l’amianto possa essere considerato respirabile).

Il giudice deve quindi, avuto riguardo alla singola collocazione lavorativa – nel rispetto dei criteri di ripartizione dell’onere della prova, ma anche avvalendosi anche dei poteri d’ufficio ad esso riconosciuti dal rito del lavoro –verificare la sussistenza di due requisiti: 1) se l’ambiente in cui si svolgeva la prestazione lavorativa presentava una concentrazione di polveri superiore ai valori limite indicati; 2) l’esistenza di una esposizione a quel rischio “qualificato”per un periodo superiore a dieci anni, “con l’avvertenza che nel periodo in questione dovranno essere computate le pause fisiologiche di attività (riposi, ferie, festività) che rientrano nella normale evoluzione del rapporto di lavoro” (Cass. N. 997/02). In tale accertamento non assume carattere vincolante il contenuto delle dichiarazioni (eventualmente) rilasciate dall’INAIL o dal datore di lavoro (v. Cass. N. 997/02 ed anche Cass. N. 2677/02).

Il quadro normativo ha peraltro negli ultimi anni subito alcune modificazioni. In particolare l’art. 47 comma 3 del D.L. n. 269/03, convertito nella legge n. 269/03, ha previsto che per usufruire dei benefici di cui si tratta, l’esposizione all’amianto deve essere stata “in concentrazione media annua non inferiore a 100 fibre/litro come valore medio su otto ore al giorno”. La legge di conversione ha, in parte mitigato il contenuto del comma 3, escludendone la sua applicazione retroattiva per coloro che alla data del 2 ottobre 2003 abbiano maturato il diritto di trattamento pensionistico anche in base ai benefici previdenziali di cui all’art. 13, comma 8 della legge n. 257/92, nonché per coloro che alla stessa data usufruiscano dei trattamenti di mobilità ovvero che abbiano cessato il rapporto per pensionamento. A risolvere ogni dubbio in ordine alla efficacia retroattiva o meno delle disposizioni contenute nel DL n. 269/03 è poi intervenuto l’art. 3 comma 132 della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (legge finanziaria). Tale ultima norma, pur proponendosi l’evidente funzione di limitare gli effetti sui conti pubblici del contenzioso sviluppatosi nel decennio precedente, ha peraltro stabilito che la normativa introdotta nel 2003 non trova applicazione per coloro “che hanno avanzato la domanda di riconoscimento all’INAIL o che ottengano sentenze favorevoli per cause avviate entro la stessa data”.

La Corte d’Appello di Bologna, rilevando che nel caso di specie in cui il contenzioso aveva avuto origine in epoca anteriore all’ottobre 2003, ha così appurato, innanzi tutto, che l’appellante “può continuare ad avvalersi della più favorevole disciplina contenuta nelle previgenti disposizioni anche – se non soprattutto – in ordine al requisito della intensità della esposizione” ritenendo, a tale proposito, che “l’onere probatorio a suo carico dovrebbe risultare meno gravoso, potendosi pervenire alla conclusione del superamento della soglia prevista dal d. legs. N. 277 del 1991 non solo sulla base delle indagini ambientali – se esistenti – ma anche mediante un meccanismo presuntivo ai sensi degli articoli 2727 e ss. Cod. civ. (…) avendo come riferimento, per risalire al fatto ignorato e, cioè, alla quantità di fibre di amianto disperse nell’ambiente per ogni turno di lavoro, sia le risultanze delle prove documentali (ad esempio relazioni ispettive, prescrizioni da parte delle pubbliche autorità addetta alla vigilanza, esperienza tecnica e quant’altro), sia le emergenze della prova orale, sia le conclusioni delle indagini eventualmente affidate ad un consulente tecnico”. Il CTU nominato dalla Corte ha necessariamente preso le mosse dal rilievo che la ditta in esame non è più attiva e che nel corso degli ultimi anni le modalità produttive erano notevolmente mutate rispetto a quelle necessariamente da prendere in esame, stante la decorrenza della domanda, fin dall’inizio degli anni novanta. Peraltro il CTU ha utilizzato come fonti di indagine le valutazioni esposte dall’organo di vigilanza territorialmente competenti; documenti di origine aziendale, acquisite agli atti; filiera documentale INAIL, pervenendo alla motivata conclusione della esistenza, tra il gennaio 1981 ed il dicembre 1993, di una “esposizione complessiva ed integrata a polveri respirabili amiantifere, pericolose per la salute, superiore al valore medio indicato quale valore soglia per i diritto previdenziale; come indicato, tale valore, integrato nel tempo, considerando che i valori di esposizione sono sostanzialmente variati nel tempo, appare quasi raddoppiato (circa 2000 ff/cc x 10 anni)” così, in sostanza, soddisfacendo persino il più rigoroso parametro previsto dalla normativa sopravvenuta a cui, a parere della Corte, sfugge il caso in esame. Conseguentemente la sentenza del Tribunale di Ferrara è stata riformata e la domanda del lavoratore accolta.