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Tribunali Emilia-Romagna > Mobilità
Data: 02/05/2002
Giudice: Brusati
Tipo Provvedimento: Sentenza
Numero Provvedimento: 157/02
Parti: ALBONDI / I.N.P.S.
TRIBUNALE DI PARMA - MOBILITÀ – REQUISITI – ETÀ DEL LAVORATORE – CRITERI DI INTERPRETAZIONE DELLA LEGGE – CRITERIO LETTERALE: INSUFFICIENZA – CRITERIO LOGICO – PRINCIPI GENERALI DELL’ORDINAMENTO GIURIDICO – EGUAGLIANZA SOSTANZIALE DEI CITTADINI


Ad un lavoratore di 49 anni, licenziato per riduzione di personale, veniva riconosciuto un collocamento in mobilità di 24 mesi, così come previsto dall’art. 7, co. 1, L. 223/91. Compiuti i 50 anni durante il periodo di mobilità, detto lavoratore richiedeva all’Istituto di previdenza che il beneficio venisse esteso ad anni tre. L’INPS si opponeva richiamando a sostegno delle proprie tesi la sentenza Cass. 2.1.2001 n. 3 secondo la quale occorre fare riferimento, per stabilire la durata del periodo di erogazione della c.d. indennità di mobilità, alla data dell’avvenuto collocamento in mobilità, che si identifica con il momento dell’avvenuto licenziamento. Il Giudice parmense ha però ritenuto opportuno discostarsi dall’orientamento della S.C., osservando come dalla lettera dell’art. 7 legge 223/91 non è dato di intendere con sicurezza se, per la verifica del requisito dell’età, si debba fare riferimento alla data del licenziamento o a qualsiasi diverso momento, purché in costanza di erogazione del beneficio. Non risolutivo, infatti, è il collegamento fatto nella citata sentenza della S.C. «tra il presente "hanno diritto" e il passato prossimo "hanno compiuto", dal momento che tale collegamento attiene esclusivamente alla sussistenza dei presupposti richiesti per determinare la durata del beneficio in questione» , ma «nulla dice in ordine alla data certa che occorre prendere come punto di riferimento sicuro ed oggettivo per determinare la sussistenza (insussistenza di tali presupposti) » ”. Per questo occorre fare ricorso al “c.d. criterio logico”, in base al quale «senza necessità di forzatura equitativa […] può affermarsi che deve essere riconosciuto lo stesso trattamento sia a colui il quale ha già compiuto 50 anni al momento della decorrenza della prestazione, sia a colui che verrà a compiere tale età nel corso del godimento di tale prestazione, e ciò perché si deve ragionevolmente presumere che entrambi, al termine del previsto periodo di erogazione di tale indennità, avranno le stesse sostanziali difficoltà nel ricollocarsi sul mercato del lavoro, e quindi a reperire una nuova occupazione». Su queste basi il Tribunale di Parma ha accolto la domanda del lavoratore, condannando l’INPS ad erogare l’indennità di mobilità per un periodo di 36 mesi